LA BASILICA DI SAN MAURO ABATE “Un tesoro barocco a Casoria”
di G. Russo da "Eco di San Mauro" notiziario parrocchiale curato da E. Ferrara
Il termine basilica ha origini antichissime e in età
romana indicava alcuni imponenti edifici destinati a
funzioni giuridiche e amministrative. A questi edifici
s'ispirarono i primi architetti cristiani per costruire,
dopo l'Editto dell'imperatore Costantino dell'anno 313,
i primi spazi di culto necessari ad accogliere le sempre
più numerose comunità di fedeli, fissando in tal modo
le principali caratteristiche delle successive chiese.
Le basiliche cristiane sono costituite da un'ampia
aula rettangolare, detta navata, affiancata da navate
laterali più basse: uno schema architettonico che consente, sulla parte alta delle pareti centrali, di realizzare
delle finestre per l'illuminazione, ma anche di collocarvi cicli di immagini sacre, realizzate in mosaico o
affresco.
In tal modo il percorso dall'ingresso all'altare si carica di importanti significati religiosi: esso rappresenta
il cammino di fede del cristiano dal battesimo ai successivi sacramenti. Prima di entrare nella chiesa (termine che significa anzitutto "comunità dei cristiani")
il fedele riceve, infatti, il primo sacramento nel battistero, posto proprio per questo all'esterno o più
spesso all'ingresso dell'edificio. Può quindi incamminarsi nella navata, lungo la quale riceve sia la luce, simbolo di Dio che ne "illumina" il cammino, sia la Parola
divina, rappresentata dalle immagini sacre sulle pareti,
efficaci più dei testi scritti, incomprensibili ai fedeli
meno istruiti (la cosiddetta Bibbia dei poveri).
Giunge infine all'altare ove si celebra l'Eucaristia e
dove in seguito riceverà anche gli altri sacramenti
della vita cristiana.
A partire dal Rinascimento, le navate laterali furono spesso sostituite da singole cappelle, finanziate
e gestite dalle famiglie più in vista della comunità, che
vi collocavano altari dedicati al culto di particolari
Santi e le sepolture dei familiari.
Al termine della navata principale, a raffigurare in pianta la
forma della croce, troviamo il transetto, una navata trasversale alle
cui estremità sono solitamente
posti altari secondari con altre immagini sacre. In alto, nel punto
d'incrocio tra navata centrale e
transetto troviamo il più delle
volte una cupola, la quale, oltre a
costituire un'ulteriore e più intensa fonte di luce per l'altare, introduce una nuova e affascinante
direzione, quella verticale, simbol0 dell'elevazione, della Risurrezione e dell'Ascensione:
la dimensione celeste si contrappone, così, a quella
terrestre del percorso orizzontale. Dietro l'altare c'è
infine l'abside, uno spazio concavo che conclude armonicamente la navata, anch'esso riccamente decorato o ornato di dipinti e statue, che rappresenta
simbolicamente la testata della croce.
L'arte dunque, pur partendo da una struttura pagana, ha saputo perfettamente interpretare lo spirito
della nuova religione cristiana, creando capolavori
che parlano ai sensi e al cuore.
È questa anche la struttura architettonica della Basilica di San Mauro in Casoria. Un'architettura ben riuscita, però, oltre ai muri, agli archi, al soffitto, possiede
soprattutto dei tratti inconfondibili, che la rendono
unica e densa di significati: è un'opera d'arte. E la Basilica di San Mauro è un'opera d'arte assoluta, una
delle più equilibrate, stupefacenti, raffinate del barocco campano.
Il 15 gennaio del 1606, quando la sua costruzione
iniziò con la demolizione di una piccola chiesa preesistente che occupava lo spazio dell'attuale sagrato,
Casoria era un minuscolo casale agricolo raggruppato
intorno alle due chiesette di San Mauro e San Benedetto, e contava all'incirca 1500 abitanti, un buon numero dei quali poteva essere accolto nel maestoso
interno della nuova chiesa. La struttura principale fino
alla cupola e le prime due cappelle furono realizzate
in quindici anni, nel 1621, ma i lavori si protrassero
per tutto il secolo fino a quello successivo e anche
oltre per la decorazione. Non ne conosciamo gli architetti e i costruttori, ma quanto ci hanno lasciato rivela la loro estrema perizia tecnica e una grande
sensibilità estetica, nel rispetto del programma della
Chiesa di quegli anni.

Tra il finire del 1500 e l'inizio del 1600, come reazione all'eresia luterana, la Chiesa romana avverte
l'esigenza di riaffermare il proprio potere e l'autorità
della dottrina cattolica, decidendo anche di costruire
nuovi e più maestosi edifici ecclesiastici. Si affida,
così, agli artisti più importanti dell'epoca, i quali rispondono con tutta la loro abilità e fantasia. È l'epoca
di Caravaggio e Bernini e, a Napoli, di Ribera e Fanzago. Si vuole educare al messaggio del Vangelo con
immagini inconsuete e spettacolari, che colpiscano
l'animo attraverso i sensi, sorprendendoli continuamente: lo splendore artistico rappresenta lo splendore della Parola divina e lo spazio liturgico diventa
come una scenografia per un'azione teatrale.
Anche il
più piccolo angolo delle chiese deve rispondere a
questo scopo, mediante una forte unità tra architettura, scultura e pittura. L'occhio e la mente non devono avere sosta, ma essere sapientemente guidati
dall'oscurità del peccato all'accecante bagliore del
Regno dei cieli. E non sembri sacrilego in un luogo
sacro tutto questo splendore di forme, colori, decorazioni con cui il barocco riempie i nostri sensi: la
mente del fedele deve vivere un'estasi, come i grandi
Santi mistici, per provare in prima persona lo splendore della dimensione spirituale, impalpabile e luminosa, estraniandosi dalla grave e oscura dimensione
terrena. Inizia, così, uno dei periodi più controversi
della storia della Chiesa, ma artisticamente uno dei
più fecondi, che darà all'Italia la definitiva supremazia
sull'arte figurativa mondiale: il Barocco.
E barocca si può definire la nostra Basilica, non
tanto nella forma architettonica, per i tempi ancora abbastanza convenzionale,
quanto piuttosto nell'immagine
complessiva, aderente ai principi della Chiesa seicentesca di
cui s'è detto. Già a un primo
sguardo verso la monumentale
navata, infatti, l'occhio non ha
un attimo di tregua, passando
continuamente dai pieni ai
vuoti, dalle ombre alle luci, dalla
dimensione orizzontale a quella
verticale, da materiale a materiale, da colore a colore, da elementi rettilinei a elementi
curvilinei, dall'architettura alle
sculture, dai dipinti agli arredi. E
in tutta questa complessità non
si prova il minimo affaticamento
visivo, ma solo sottile appagamento e delicato stupore. Ogni
elemento, anche se aggiunto in
epoche diverse, è perfettamente
integrato nell'insieme.

L'inconsueto soffitto ligneo a
cassettoni mistilinei della fine
del '600 - con angeli, decorazioni e cornici ricoperte d'oro zecchino su sfondo
verde - crea una zona più scura a contrasto con le luminose pareti laterali, preparando all'enorme tripudio
luminoso della cupola retrostante, da cui lo separa
solo l'arcone trionfale. Lo sfarzoso organo a canne
del 1760, ristrutturato e perfettamente funzionante,
che incornicia l'ultima cappella a sinistra, richiama un
po' i materiali scuri e i colori luccicanti del soffitto e,
al disopra della rigonfia balaustra, si slancia fino alla
soprastante finestra con le canne e il suo timpano
spezzato e arricciolato su cui campeggia lo stemma
della città di Casoria, presentato da due angeli regginastro. Il grazioso pulpito marmoreo del '700, che gli
fa da pendant sulla parete opposta, realizzato in un
sol blocco di marmo e coperto da un delicato baldacchino ligneo, non sembra affatto successivo di un secolo alla chiesa, ma pare esser lì da sempre, incastonato tra la quarta e la quinta cappella laterale, così
come le due sottostanti colonne nere, messe a puntellarlo all'inizio dell'800 perché minacciava di crollare.
Anche il pregevole fonte battesimale in marmo,
collocato nella seconda cappella a sinistra, ma concepito per stare nella prima a destra, risale al '700, ma
s'inserisce perfettamente nell'ambiente. Tutti i principali dipinti e affreschi raffiguranti schiere di Santi
ed episodi della vita di San Mauro, sono datati tra la
fine del '600 e le soglie del '900, ma si integrano
anch'essi armonicamente nell'insieme architettonico
senza provocare la minima stonatura.
Il maestoso altare maggiore, realizzato con preziosi marmi policromi, nel tipico stile dei marmorari
napoletani del periodo, risale alla seconda metà del'700 e va a costituire il
degno fondale scenografico della liturgia, di cui
è il centro d'attenzione.
Sebbene sia stato spostato qualche metro più
indietro, perdendo qualcosa dell'effetto originario, esso ha il ruolo
percettivo di attirare a sé
e, al tempo stesso, di "frenare" lo sguardo dello
spettatore, per convogliarlo in alto prima sul dipinto di fondo e poi condurlo nella luce della soprastante finestra. Per non
dire di tutti i tesori d'arte posti nelle dieci cappelle
laterali, con altrettanti pregevolissimi altari incorniciati da stucchi barocchi e contenenti preziose statue
e dipinti, sepolture gentilizie, pavimenti maiolicati originari (nelle quarte cappelle a destra e a sinistra andando verso l'altare), alcune straordinarie balaustre in
marmi policromi e metalli rilucenti. La seconda cappella a destra, in particolare - la più vasta - dedicata
al nostro Santo protettore, è carica di devozione e storia casoriana. Accoglie, infatti, sull'altare, una superba
statua lignea seicentesca di San Mauro e sulle pareti
laterali le sepolture di illustri figure ecclesiastiche native di Casoria, quali il cardinale Luigi Maglione
(† 1944), l'arcivescovo Antonio del Giudice († 1982)
e il preposito Domenico Maglione († 1908).
Ovunque regna un equilibrio tutt'altro che statico
e monotono. L'arcone trionfale che conclude la navata non costituisce un'interruzione della stessa o una
barriera visiva, ma una monumentale cornice che separa la zona dei fedeli da quella dei celebranti (presbiterio), scoprendosi, poi, a una visione più ravvicinata, facente parte di un gruppo di quattro arconi
al tempo stesso agili e possenti che, insieme ai giganteschi pilastroni diagonali alleggeriti da nicchie contenenti statue delle Virtù cardinali, sostengono le
pareti finestrate del tamburo e infine la cupola con
meraviglioso slancio verticale, annullando ogni sensazione di pesantezza di quelle colossali membrature,
che li ripagano avvolgendoli di una cascata di luce.

La luce gioca un ruolo fondamentale nel barocco,
e qui è magistralmente interpretata dagli artisti che
vi si sono cimentati. Orientata pressappoco da nord
a sud, la navata accoglie dalle finestre la luce mattutina o quella pomeridiana che evidenziano delicatamente, e con varie tonalità nelle diverse ore, le
tessiture degli stucchi e delle sculture, la struttura
degli archi e dei pilastri tra le cappelle laterali, ornati
con un potente ed elegante ordine composito, e infine la sporgente cornice orizzontale che cintura tutto
lo spazio interno, creando un delicato e unificante
chiaroscuro. Anche i ricorrenti motivi degli angioletti
raggruppati a due o tre sulla sommità degli archi, dei
capitelli compositi, così come dei fastigi e dei cartigli
floreali, costituiscono un continuum scultoreo unificante tutta la chiesa: in stucco bianco e realizzati in
altorilievo, sotto la morbida luce che proviene dall'alto, essi creano una delicata trama chiaroscurale
d'insieme, facendo da contrappunto e ingentilendo le
grandi masse dei pilastri e degli archi. La cupola, dal
canto suo, riceve la luce tutto il giorno dalle otto finestre disposte a cerchio, ponendosi anche simbolicamente quale asse centrale intorno a cui si raggruppa e converge tutto lo spazio interno. È davvero
appagante per il fedele levare verso di essa lo
sguardo, spinto in sù dagli arconi agili e potenti, poi
sapientemente frenato dagli affreschi dei quattro
Evangelisti sotto la prima cornice circolare.

Infine, accelerato dalle snelle lesene tra le finestre, giunge alla
colomba dello Spirito Santo posta al culmine, visibile
non senza una certa difficoltà, oltre che per l'abbagliamento provocato dalle finestre, anche perché in
materiale più scuro e posta volutamente in ombra. È
una sorpresa inaspettata, tutta barocca: solo per questa volta, la visione ultima del Divino non deve avvenire tramite i sensi, ma per mezzo di un atto di fede.
Arte e teologia vanno perfettamente a braccetto nelle
grandi opere d'arte religiose. Non è ancora tutto: una stessa, sottile concezione
spaziale pervade ogni elemento dell'interno, dalla più
piccola decorazione ai grandi spazi ricolmi di luce. Eccezion fatta per l'organo e il pulpito in marmo, che si
protendono nello spazio interno, tutto sembra arretrare rispetto a chi guarda, tutto si dilata, perde consistenza, lo spazio vuoto ha il sopravvento sulla materia, comprimendola indietro, ricacciandola verso
l'esterno
Nicchie, cappelle e cornici, specchiature sui
pilastri e dipinti creano continue illusioni di profondità facendo posto al vuoto. L'acme avviene nella cupola, dove la progressione verso la luce sembra
annullare la materia per far posto a un'enorme bolla
di spazio luminoso.
Gli elementi strutturali nascondono, così, la loro
funzione e tutto sembra non avere peso. La cornice
orizzontale che cintura tutto lo spazio, passando
sopra le cappelle rappresenta, insieme alle lesene verticali, l'unico appiglio materiale per i nostri occhi, prima che vengano inghiottiti dai dipinti e infine dalle
finestre, nella cui luce tutto si dissolve.
Anche i dipinti, dicevamo, si inseriscono perfettamente in questa concezione unificante. Nei tre straordinari olii di Domenico Antonio Vaccaro, dipinti
tra il 1739 e il 1741 per le pareti di fondo del transetto
e dell'abside, l'artista intuisce il tema fondamentale di
tutta la chiesa, inserendosi magistralmente nel continuo dialogo tra vuoti e pieni, tra materia e luce: i personaggi principali, sempre visti dal basso e realizzati
con delicati colori primari (rosso, giallo e blu), sono
poggiati su basi terrene o oscure e le composizioni si
smaterializzano via via verso l'alto, culminando in cieli
luminosi, vapori e luci lontane provenienti da spazi
infiniti dove sfolgorante appare la Gloria divina. Sopra
i dipinti, come un'epifania, appaiono infine i finestroni rigonfi di luce reale, cosicché la trasfigurazione
dal mondo della materia a quello della luce è del tutto
compiuta. Anche chi non ami l'eccessivo e stravagante barocco, deve riconoscere che nessun altro
stile, tranne forse il gotico francese, ha rappresentato
in maniera così efficace la trasformazione simbolica
della carne in spirito, del corpo in anima, del mondo
terreno in quello ultraterreno. L'essenza del messaggio cristiano.
Anche all'esterno, in confronto con l'ambiente urbano e gli edifici della piazzetta antistante, la dimensione del monumento è senza dubbio sorprendente:
un salto di scala smisurato, riaffermazione dell'autorità della Chiesa seicentesca e al tempo stesso un
gesto d'amore dell'Universitas (il Municipio e i cittadini) e dei Particulares (le famiglie più facoltose)
verso l'amato Santo protettore. Orientata con la facciata verso l'attuale via Santa Croce, asse viario risalente all'epoca augustea, il nuovo edificio fu ruotato
di 90° rispetto alla precedente chiesetta, che occupava l'area antistante dell'attuale sagrato ed era rivolta
con la facciata al viandante che proveniva da Napoli,
dall'attuale via San Mauro. Arretrando di qualche
metro per creare l'adeguata distanza dalle case e uno
spiazzo per l'ingresso dei fedeli, la nuova chiesa, imponente e magnifica, sceglie invece di fronteggiare la
città in continuo e aperto dialogo con la popolazione.
Secondo le fonti, la facciata risalirebbe al 1895,
anche se l'aspetto complessivo, più sobrio e classicheggiante di quello interno, richiama piuttosto alcune facciate napoletane di fine '700. Essa si sviluppa
su due ordini orizzontali e presenta il tradizionale
schema basilicale, con due ali laterali, corrispondenti
alle cappelle interne, e una parte centrale più alta, corrispondente alla navata centrale. I tre portoni danno
accesso alla navata: quello centrale, in bronzo, è stato
realizzato in occasione del Giubileo dell'anno 2000 e
mostra scene della vita di San Mauro. Un'imponente
ed equilibrata decorazione architettonica in stile ionico, corinzio al secondo ordine, produce un crescendo di rilievo tridimensionale via via che dalle piatte lesene ai due lati si va verso la parte centrale,
dove due possenti colonne senza alcuna funzione di
sostegno, se non del soprastante timpano spezzato,
sporgono libere ai lati del portale d'ingresso incorniciandolo e avanzando verso la piazzetta. Un crescendo di leggerezza caratterizza invece il percorso
verso l'alto, dove una serie di nicchie, specchiature,
cornici e timpani, sapientemente proporzionate, fa
svettare la facciata verso il cielo con grazia e levità,
evitando all'insieme di apparire opprimente nei confronti del piccolo spiazzo urbano antistante.
Il possente campanile, costruito al posto del precedente, demolito per problemi statici, è del 1827 ed
è incompiuto nella decorazione esterna, presentando
la struttura di tufo a vista con le bozze di cornici, finti
pilastri, basi e capitelli agli angoli preparate certamente per ricevere un rivestimento in stucco come
per la facciata.
L'esterno della cupola, di aspetto semplice ma slanciato e grandioso, costituisce un'emergenza architettonica visibile da ogni punto anche lontano dalla città,
disturbata solo dai penosi edifici moderni senza qualità.
La Basilica di San Mauro è un monumento eccezionale, che con la sua presenza testimonia gli ideali
e i significati religiosi e artistici che all'epoca ne
hanno ispirata la costruzione. Esso svolge ancor oggi
le medesime funzioni originarie e suscita in noi gli
stessi significati estetici e religiosi che aveva in origine. È questa una condizione ideale, che la rende
un'opera d'arte viva e concretamente attuale, capace
ancora di parlarci, raccontarci, farci pregare e avvicinarci a Dio. Come tutte le grandi opere d'arte, ci fa
"sognare ad occhi aperti". Nostro unico merito - e doveroso impegno - sarà lasciarla in eredità ai nostri
successori in condizioni possibilmente migliori di
quelle in cui ci è pervenuta. Senza questi monumenti,
infatti, noi e la nostra Casoria non avremmo più identità, né futuro, né forme, né valori, ma vagheremmo
senza sapere cosa raccontare e di cosa gioire.